Le criptovalute nella dichiarazione dei redditi
Le criptovalute sono un tipo di moneta digitale, detenuta principalmente a scopo di investimento e utilizzate per le transazioni on-line, divenute molto popolari anche nel mercato italiano negli ultimi anni.
Sono moltissimi gli investitori non professionisti che si sono interessati al mercato delle criptovalute durante la pandemia e il lockdown, segnando un incremento del 169% per cifra media acquistata e del 24% per cifra media per trade. I dati sono stati riportati da “Revolution”, un app finanziaria con 10 milioni di clienti in Italia ed Europa, e si riferiscono agli oltre 400 mila italiani che hanno utilizzato il servizio di trading di criptovalute di Revolut che permette di acquistare e vendere Bitcoin (BTC), Bitcoin Cash (BCH), Ripple (XRP), Ethereum (ETH) e Litecoin (LTC).
Ma come sono disciplinati gli investimenti in criptovalute in Italia?
Il tema delle criptovalute è stato disciplinato dal legislatore italiano unicamente in materia di antiriciclaggio, apportando una modifica all’art. 1 del D.Lgs. n. 231/2007, mediante l’art. 1 del D.Lgs. n. 90/2017, in vigore dal 4 luglio 2017.
Ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. qq), D.Lgs. n. 90/2017, le valute virtuali sono identificate come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
Dal canto suo l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016 ha definito il Bitcoin come una tipologia di moneta “virtuale” utilizzata come “moneta” alternativa, la cui circolazione si fonda su un principio di accettazione volontaria da parte degli operatori privati. I Bitcoin infatti non hanno natura fisica, ma digitale e la loro emissione e circolazione è collegata codici crittografici e a complessi calcoli algoritmici.
Sulla tematica è intervenuta anche anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14, riconoscendo che:
“le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale Bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso”.
Rilevanza fiscale delle criptovalute
L’intermediazione di valute tradizionali con Bitcoin, gestita in modo professionale e abituale, costituisce un’attività rilevante oltre agli effetti dell’IVA anche dell’IRES e dell’IRAP.
Dall’assimilazione delle criptovalute alle valute estere tradizionali deriva, in primo luogo, l’onere di compilazione del quadro relativo al monitoraggio fiscale degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi in Italia (quadro RW), non rilevando in ogni caso la modalità di conservazione (dispositivo elettronico o wallet).
Come precisato dalle istruzioni al modello Redditi PF 2021 (periodo d’imposta 2020), i contribuenti dovranno quindi:
dichiarare le criptovalute facendo riferimento al controvalore in euro al 31 dicembre del periodo di riferimento (oppure, se cedute nel corso del 2020, alla data di cessione), utilizzando come cambio quello indicato sul sito dove il contribuente ha effettuato l’investimento;
indicare a colonna 3 il codice di individuazione del bene “14 - Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”.
Non è obbligatoria, invece, la compilazione della colonna 4 con l’indicazione del relativo codice Stato estero.
Nel quadro RW non andrà liquidata, inoltre, l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE) sulle criptovalute in quanto equiparabili a valute estere.
Il Modello Redditi PF per investitori non professionisti
In linea generale, la detenzione di criptovalute da parte delle persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa non genera di per sé alcuna obbligazione tributaria in capo al detentore.
Allo stesso modo, ai fini delle imposte sul reddito, le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili, in quanto manca la finalità speculativa.
L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, con la Risoluzione n. 72/E/2016 ha affermato che le valute virtuali detenute al di fuori del regime di impresa possono generare un reddito diverso, tassabile in base ai principi di cui all’art. 67 del TUIR, se la giacenza media dell’insieme dei cosiddetti “wallet”, ossia i portafogli elettronici, detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro (calcolato al cambio di riferimento di inizio periodo) per almeno 7 giorni lavorativi.
Al ricorrere di tali condizioni, pertanto, la plusvalenza deve essere dichiarata nel quadro RT del modello Redditi PF, liquidando l’imposta sostitutiva del 26%, senza alcuna franchigia.
Si noti che la plusvalenza diviene rilevante soltanto al momento della cessione della criptovaluta, sempreché venga superata la soglia di riferimento (51.645,69 euro), mentre la mera detenzione non fa sorgere alcun debito tributario.
Stante l’elevata variabilità delle criptovalute è importante che il contribuente conservi la documentazione necessaria a ricostruire gli acquisti di valuta virtuale, dalla quale emerga - anche in via indiretta - il tasso di cambio storico necessario per determinare il valore di “carico” della stessa, da raffrontare con il corrispettivo incassato per la cessione al fine di determinare la relativa plus o minusvalenza fiscalmente rilevante.